Dalla provincia dello Yunnan a Sud-ovest, a Pechino, da Guangzhou, meglio conosciuta in Italia come Canton, a Shanghai, dalla contea di Wuyuan a Wuzhen, nella provincia di Zhejiang, si estendono le proteste, le più partecipate dal 1989, nate in opposizione alla politica zero-covid, ma ormai anche contro il governo, al grido di “vogliamo la libertà”, “non siamo schiavi, ma cittadini”, “la libertà prevarrà”, "Xi Jinping, dimettiti" e "Partito comunista, dimettiti ".
I manifestanti, tra cui studenti in varie università, espongono fogli di carta bianchi oppure leggono la Costituzione per aggirare la censure ed evitare di essere arrestati. Altri accendono candele e depositano fiori per le vittime a Urumqi - la capitale della Regione autonoma dello Xinjiang, nel nord-ovest del Paese - dove le autorità sono state incolpate per la morte di 10 persone in un incendio a causa dei ritardi nei soccorsi causati dalle regole contro il covid.
Fogli di carta bianchi erano stati sventolati già a Hong Kong nel 2020 per evitare la censura e quest'anno anche a Mosca per protestare contro l'invasione dell'Ucraina. Ma in Cina il bianco è anche il colore associato al lutto.
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E le proteste sono ormai organizzate in varie città del mondo da alcuni membri delle comunità cinesi locali: da Washington, a Toronto, di fronte al Consolato Cinese, a Edimburgo e anche in Italia, a Milano, Bologna e Firenze ci sono state manifestazioni di centinaia di persone di origine cinese, tra cui anche persone LGBTI, che con la scritta Urumqi composta con candele commemorative e vari cartelli contro le politiche 0-covid ei lockdown draconiani cinesi o tamponi forzati che vengono imposti da personale armato di mitragliatrici, ma anche contro la censura, specialmente online, e la dittatura. Su un cartello, esposto a Bologna, si può leggere, in italiano: "Vita NON politica 0-COVID. Libertà NON lockdown. Dignità NON bugie. Riforma NON regressione. Elezioni NON dittatura. Cittadini NON schiavi".